I Vaccini sono un'Illusione
L’
IMMUNITÀ DI GREGGE SI PUÒ OTTENERE TRAMITE LA
VACCINAZIONE DI MASSA?
Di
Tetyana Obukhanych (Ph.D. In Immunologia)
I Vaccini sono un'illusione
CAPITOLO 15
Nonostante le epidemie endemiche delle più comuni malattie infantili, come il morbillo, siano state eliminate in alcune regioni in seguito a campagne prolungate di vaccinazione di massa, ci viene costantemente ricordato che ridurre la copertura vaccinale dei bambini in una comunità pone il rischio del ritorno dell’epidemia con conseguenze potenzialmente tragiche per i bambini e i soggetti immunocompromessi.
Veniamo anche persuasi del fatto che implementare l’adeguamento a un rigido protocollo di vaccinazione eviterà epidemie e proteggerà i bambini non idonei alla vaccinazione attraverso l’effetto “immunità di gregge”.
Non c’è dubbio che un’epidemia possa diffondersi in una comunità non immune, se il virus vi si manifesta. La questione reale è: quanto l’adozione di un rigido protocollo di vaccinazione può assicurare l’immunità di gregge e proteggere la comunità dall’epidemia?
L’IMMUNITÀ DI GREGGE, NELLA TEORIA E NELLA REALTÀ
L’immunità di gregge non è un’idea immunologica, piuttosto un concetto epidemiologico che prevede a livello teorico un controllo efficace delle malattie o comunque lo sradicamento di un virus nel momento in cui una percentuale precedentemente calcolata della popolazione diventa immune.
Un articolo accademico sull’immunità di gregge afferma «Parallelamente al crescente interesse nei confronti dell’immunità di gregge, sono sorte sempre più opinioni riguardo a cosa significhi effettivamente e persino sul fatto che questa esista per davvero o meno.
Diversi autori hanno scritto di dati sul morbillo che “sfidano” il principio dell’immunità di gregge e altri citano stime fortemente contrastanti (dal 70 al 95%) riguardo all’entità della soglia di immunità di gregge necessaria per lo sradicamento del morbillo». Le prime ricerche condotte da Hedrich sono state considerate fondamentali per sostenere l’idea che l’immunità di gregge si possa ottenere facilmente.
Hedrich ha analizzato le epidemie di morbillo verificatesi a Baltimora (Maryland, Stati Uniti) ogni 2-3 anni tra il 1900 e il 1931. Scoprì che proprio prima di una grande epidemia in quella città, la percentuale dei bambini vulnerabili sotto i 15 anni era del 45-50%. Alla fine di ogni epidemia, la percentuale di bambini ancora vulnerabili non andava mai sotto al 32% [2]. Ciononostante, il 95-97% dei bambini ebbe il morbillo prima di raggiungere l’età di 15 anni 3]. Per questo motivo gli adulti erano immuni dal morbillo.
La scoperta che un numero piuttosto ampio di bambini vulnerabili riusciva regolarmente a non contrarre il morbillo durante ogni epidemia diede un certo ottimismo al Servizio di salute pubblica degli Stati Uniti sul fatto che l’immunità di gregge funziona a partire da una soglia che è considerevolmente inferiore al 100%. Fu fatta una previsione ufficiale secondo cui il morbillo sarebbe stato eradicato rapidamente negli Stati Uniti già a partire dal 1967 stabilendo e impegnandosi a mantenere questa soglia facilmente raggiungibile attraverso la vaccinazione di massa [4], che cominciò già nel 1963.
Questa previsione non si realizzò e le epidemie di morbillo negli Stati Uniti nel 1967 non si fermarono. Il concetto secondo cui l’immunità di gregge basata sul vaccino si può facilmente raggiungere per eradicare rapidamente la malattia si dimostrò non valido.
Il concetto di immunità di gregge subì poi un’evoluzione per giustificare l’idea di vaccinare i bambini contro malattie infantili molto blande, non a beneficio della loro salute ma per proteggere una parte della popolazione non idonea alla vaccinazione ma comunque vulnerabile.
Per esempio, la rosolia non è pericolosa per i bambini. Tuttavia, per le donne incinte che non sono diventate immuni alla rosolia prima della gravidanza, il virus della rosolia crea dei pericoli durante il primo trimestre aumentando il rischio che il feto abbia delle anomalie durante lo sviluppo (rosolia congenita).
Probabilmente con la buona intenzione di porre immediatamente fine a qualsiasi rischio di rosolia congenita nella comunità, nel 1970 i bambini delle scuole elementari furono vaccinati in massa contro la rosolia nella città di Casper, nel Wyoming. Ironicamente, nove mesi dopo questa campagna di vaccinazione locale, un’epidemia di rosolia colpì la città di Casper.
L’effetto immunità di gregge non si manifestò e l’epidemia coinvolse più di mille casi e riguardò anche numerose donne incinte, mentre i bambini recentemente vaccinati furono risparmiati dalla rosolia.
Gli autori dello studio, perplessi, descrivendo quest’epidemia scrissero [5]: «Quest’epidemia ha dimostrato che il concetto secondo cui un gruppo di bambini in età pre-puberale altamente immuni eviterebbe la diffusione della rosolia al resto della comunità non è sempre valido».
Ignorando queste verità sul controllo e l’eradicazione delle malattie, a fiducia non dimostrata scientificamente nell’immunità di gregge continua a influenzare la legislazione relativa ai vaccini in molti Stati americani e in altri Paesi.
La nozione dell’immunità di gregge è usata come asso nella manica per giustificare qualsiasi misura, spesso in conflitto con la libertà personale di scelta, per aumentare l’adempimento alle vaccinazioni. Un presupposto implicito è che le politiche liberali di
esenzione dal vaccino potrebbero in qualche modo compromettere questa preziosa immunità di gregge, che le autorità della sanità pubblica si impegnano a stabilire e a mantenere tramite la vaccinazione di massa. Sebbene le prove dell’efficacia dell’immunità di gregge basata sulla vaccinazione debbano ancora manifestarsi, ci sono moltissime testimonianze del contrario.
Soltanto una singola pubblicazione di Poland e Jacobson (1994) riferisce di 18 diverse epidemie di morbillo in tutto il Nord America [6], verificatesi in scolaresche con un’altissima percentuale di copertura vaccinale per il morbillo (dal 71% al 99,8%). Durante queste epidemie, i bambini vaccinati hanno costituito tra il 30 e il 100% dei casi di morbillo.
Molti casi simili di epidemie verificatesi dopo il 1994 sono descritti in pubblicazioni epidemiologiche.
COSA INCOLPARE?
L’establishment medico incolpò rapidamente Madre Natura a causa delle frequenti epidemie di morbillo verificatesi in comunità altamente vaccinate. È stato notato che, se vaccinato troppo presto, un bambino potrebbe non rispondere al vaccino contro il morbillo a causa dell’effetto inibitorio (e al tempo stesso protettivo) degli anticorpi materni trasferiti tramite la placenta. Prima degli anni Novanta, nel programma di vaccinazione infantile negli Stati Uniti vi era soltanto una dose del vaccino contro il morbillo. Per compensare la potenziale “interferenza” da parte del trasferimento di immunità materna nei confronti dell’azione del primo turno di vaccinazione contro il morbillo in alcuni bambini, una doppia strategia di vaccinazione (morbillo-orecchioni-rosolia) fu introdotta negli Stati Uniti e in Canada nei primi anni Novanta.
Il morbillo endemico fu successivamente eliminato dagli Stati Uniti, ma nel 2011 un’epidemia di morbillo importata dall’estero – la più grande fino a quel momento nell’era post-eradicazione – colpì una comunità in Québec, Canada, che poteva contare su una percentuale del 95-97% di persone vaccinate contro il morbillo nell’era della doppia vaccinazione contro questa malattia. Se la doppia vaccinazione non è sufficiente per compensare i difetti della prima fase di vaccinazioni e per assicurare l’inafferrabile immunità di gregge, dovremmo allora sperare in una tripla (o addirittura quadrupla) strategia di vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia per vedere se possono funzionare riguardo all’immunità di gregge?
O dovremmo invece riesaminare il concetto stesso di immunità di gregge?
PRESUPPOSTO DIFETTOSO
La teoria dell’immunità di gregge è basata sul presupposto difettoso secondo cui la vaccinazione provocherebbe nell’individuo uno stato equivalente all’immunità effettiva, intesa come resistenza per tutta la vita alle infezioni reiterate dei virus.
Come ogni teoria basata su informazioni imprecise che danno origine quindi a risultati altrettanto inesatti, le aspettative della teoria sull’immunità di gregge sono destinate a fallire nel mondo reale.
Alcune informazioni rilevanti riguardo all’immunità anti-virale possono essere ricavate da esperimenti nella ricerca sugli animali.
Ochsenbein et al. (2000) hanno condotto un esperimento sui topi [7] dove mettevano a confronto gli effetti ottenuti iniettando in essi due preparati del virus della stomatite vescicolare.
Hanno immunizzato i topi sia mediante il virus vivo e non modificato sia mediante il virus reso inattivo tramite raggi ultravioletti e quindi incapace di riprodursi.
Hanno poi testato la capacità del siero proveniente dai due gruppi di animali immunizzati di neutralizzare il virus (per esempio di rendere il virus incapace di infettare le cellule) nel corso dei 300 giorni successivi all’immunizzazione.
L’iniezione del preparato costituito dal virus vivo ha indotto la capacità duratura del siero di neutralizzare il virus, capacità che è persistita per l’intera durata dello studio senza manifestare un declino evidente.
Al contrario, tanto per cominciare l’iniezione del preparato contenente il virus morto ha generato livelli molto più bassi di titoli anticorpali del siero neutralizzante del virus. Successivamente, i titoli anticorpali del siero neutralizzante del virus raggiungevano un picco 20 giorni dopo l’immunizzazione e cominciavano a declinare rapidamente.
Verso la
fine dello studio, addirittura sono andati sotto il livello rilevabile dal test di neutralizzazione.
La conclusione di quest’esperimento è stata che qualsiasi procedura che attenua o rende inattivo il virus diminuisce anche la sua capacità di indurre titoli anticorpali di siero neutralizzante del virus che durino a lungo dopo l’immunizzazione degli animali.
Si deve notare che i vaccini contro le malattie virali infantili sono preparati allo stesso modo, prima isolando il virus spontaneo proveniente da una persona malata, poi attenuandolo artificialmente o rendendolo inattivo per creare un virus di ceppo vaccinale.
L’attenuare o il rendere inattivo un virus spontaneo per farlo diventare un virus di ceppo vaccinale ha lo scopo di ridurre la possibilità che questo determini dei sintomi infettivi, nonostante questo succeda lo stesso in alcuni casi.
Il processo di attenuazione, mentre da un lato rende il virus di ceppo vaccinale più “sicuro” rispetto all’originale virus spontaneo, per quanto riguarda l’induzione dei sintomi della malattia infettiva ha un impatto sulla durata della protezione basata sul vaccino.
La soglia di protezione per quanto riguarda i titoli anticorpali di siero neutralizzante il virus del morbillo negli umani può essere ricavata dal Boston University Measles Study [8] di Chen et al. Uno studio successivo [9] di LeBaron et al. calcola inoltre quanto tempo ci vuole, dopo la ricezione del secondo richiamo di vaccino morbillo-parotite-rosolia,
affinché i titoli anticorpali di siero neutralizzante il virus del morbillo scendano sotto la soglia di protezione.
Esaminiamo ora questi due importanti studi l’uno accanto all’altro.
LO STUDIO DELL’UNIVERSITÀ DI BOSTON SULL’EPIDEMIA DI MORBILLO
Nel 1990, fu fatta una raccolta di sangue tra gli studenti dell’Università di Boston un mese prima che il campus fosse colpito da un’epidemia di morbillo.
A causa di queste circostanze naturali, i ricercatori ebbero accesso a campioni di sangue di molti studenti che o contrassero il morbillo o furono risparmiati dalla malattia durante l’epidemia. I titoli anticorpali di siero neutralizzante il virus del morbillo furono misurati un mese prima e due mesi dopo l’esposizione. I titoli anticorpali pre-esposizione (dovuti alla precedente vaccinazione di questi studenti durante la loro infanzia) poterono essere messi in correlazione con il grado della loro protezione dal morbillo in quel momento: (1) nessuna
infezione o malattia rilevabile; (2) un’infezione da virus del morbillo sierologicamente confermata con un decorso clinico della malattia modificato; (3) morbillo clinicamente conclamato.
Ad ogni modo, sette degli otto studenti che contrassero il morbillo clinicamente conclamato
erano stati vaccinati durante l’infanzia, alcuni di loro erano stati vaccinati due volte.
Il risultato dello studio condotto dall’Università di Boston sull’epidemia di morbillo è stato il seguente:
(a) In tutti gli studenti precedentemente vaccinati che avevano contratto il morbillo clinicamente conclamato, i titoli anticorpali neutralizzanti il morbillo precedentemente all’esposizione erano inferiori a 120.
(b) Il 70% degli studenti i cui titoli anticorpali pre-esposizione erano compresi tra 120 e 1052 finì per avere un’infezione da morbillo sierologicamente confermata, ma siccome i loro sintomi alterati non erano conformi alla definizione clinica del morbillo, furono catalogati
come “non-casi” durante l’epidemia.
(c) Studenti con titoli anticorpali pre-esposizione oltre 1052 furono per la maggior parte protetti sia dalla tipica malattia clinica sia dall’infezione del virus del morbillo.
OSSERVAZIONI SUCCESSIVE SUL VACCINO CONTRO IL MORBILLO
L’altro studio da parte di LeBaron et al. (2007), cercava di determinare la durata dei titoli anticorpali di siero neutralizzante il virus del morbillo dopo la ricezione del secondo richiamo del vaccino contro morbillo, parotite e rosolia. Lo studio ha coinvolto diverse centinaia di bambini sani originari del Caucaso e provenienti da aree rurali degli Stati Uniti libere da epidemie di morbillo per tutta la durata dello studio.
Lo studio ha rilevato che circa un quarto di questi bambini produsse titoli anticorpali di siero relativamente alti in risposta alla vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia. I restanti risposero in maniera modesta al richiamo, ma alcuni risposero in maniera molto scarsa. Nonostante questo particolare studio non potesse paragonare i titoli anticorpali neutralizzanti il morbillo tra individui vaccinati e individui naturalmente immuni, lo studio precedentemente condotto da Itoh et al. (2002) aveva dimostrato che i titoli anticorpali neutralizzanti il morbillo indotti dalla vaccinazione sono 9 volte inferiori rispetto a quelli indotti dall’infezione naturale[10].
Pertanto, persino quegli individui che hanno risposto relativamente bene al vaccino contro il morbillo non raggiungono i livelli di titoli anticorpali neutralizzanti il morbillo ottenuti dopo l’infezione naturale.
I titoli anticorpali di siero in tutti i bambini vaccinati, indipendentemente dal fatto che fossero relativamente alti, moderati o bassi, raggiungevano il picco massimo nel mese successivo dopo il richiamo del vaccino contro morbillo, parotite e rosolia, poi scendevano nel giro di sei
mesi al livello pre-richiamo e continuavano a declinare gradualmente nei successivi 5-10 anni di osservazione.
Soltanto circa un quarto di bambini (detti “high-responders”*) è stato in grado di mantenere i titoli anticorpali di siero oltre le 1000 unità per i 10 anni successivi al secondo richiamo di vaccino contro morbillo, parotite e rosolia ricevuto all’età di 5 anni.
Questa percentuale di bambini sarà probabilmente protetta dall’infezione del virus del morbillo nel momento in cui saranno adolescenti.
In coloro che hanno risposto al vaccino in maniera meno efficiente (il 5% in fondo alla classifica), i titoli anticorpali di siero sono scesi sotto le 120 unità nei successivi 5-10 anni dopo il secondo richiamo del vaccino contro morbillo, parotite e rosolia. Si prevede che questa percentuale di bambini vaccinati contrarrà il morbillo clinicamente conclamato nel momento in cui saranno esposti a questa malattia in età più adulta. Questo è il motivo per cui persone vaccinate una volta e persino due volte compaiono come casi di quella malattia in una percentuale pari o addirittura maggiore rispetto agli individui non vaccinati in comunità aventi una copertura vaccinale molto alta (> 95%).
La rapida perdita della protezione vaccinale negli individui “low-responder”* è il motivo che determina il paradosso di una “malattia prevenibile tramite i vaccini” divenuta poi la malattia degli individui vaccinati.
Questi casi di malattia non sono collegati a un fallimento del vaccino in età infantile a causa dell’interferenza degli anticorpi materni, sono fallimenti del vaccino previsti a causa del declino della protezione vaccinale.
Nella maggior parte dei bambini vaccinati contro morbillo, parotite e rosolia, i titoli anticorpali neutralizzanti il morbillo scendono tra 120 e 1000 al momento in cui raggiungono l’adolescenza.
Questi bambini possono contrarre il virus del morbillo nel momento in cui vi si espongono ed essere potenzialmente contagiosi durante un’epidemia, nonostante possano essere soggetti a un decorso clinico modificato della malattia e non essere identificati come casi di morbillo per gli scopi dello studio.
Infatti, durante l’epidemia di morbillo all’Università di Boston, molti studenti i cui titoli anticorpali pre-esposizione erano tra 120 e 1052 e che erano ufficialmente catalogati come non-casi, ebbero alcuni dei sintomi virali simil-influenzali della malattia, che includevano eccessiva secrezione di muco nasale, tosse, fotofobia*, mal di testa, febbre e diarrea.
Questi non-casi che manifestavano in verità alcuni sintomi della malattia finirono per avere un’alta quantità di titoli anticorpali di siero contro il morbillo dopo l’esposizione, come succedeva per i tipici casi della malattia, il che è indice di riproduzione, e quindi di trasmissione*.
L’ELEVATO ADEGUAMENTO AI PROGRAMMI VACCINALI NON PRODUCE COME RISULTATO L’IMMUNITÀ DI GREGGE
I casi di nuova importazione del morbillo negli Stati Uniti dopo che il virus endemico era già stato eradicato hanno prodotto epidemie di piccola entità o poco durature nell’ultimo decennio, e questo è in parte dovuto all’attenzione delle autorità sanitarie pubbliche nell’implementazione della quarantena. Tuttavia, nel 2011 un’epidemia di morbillo importata
in Québec, Canada, e descritta da de Serres et al. sembrò essere profeticamente diversa [11].
Non furono adottate misure rigide di quarantena, probabilmente per la convinzione che la regione fosse già sufficientemente sotto l’effetto dell’immunità di gregge grazie a un eccezionalmente alto e uniforme adeguamento al programma di vaccinazione contro il morbillo (95-97%). Le conseguenze derivate dall’aver fatto affidamento sulla non-esistente immunità di gregge invece che sulla quarantena per frenare l’epidemia importata dalla malattia furono rivelatrici.
Importata da un insegnante di scuola superiore durante un viaggio all’estero nelle vacanze pasquali (lui stesso si era vaccinato contro il morbillo durante l’infanzia), l’epidemia si allargò rapidamente coinvolgendo più di 600 persone (compresi 21 bambini) e durò sei mesi.
Quasi la metà dei casi di morbillo in quest’epidemia era costituita da individui vaccinati due volte.
L’alto contributo ai casi di malattia dato dagli individui vaccinati due volte fu rivelato soltanto da una ricerca attiva condotta da de Serres et al.
D’altro canto, il monitoraggio passivo aveva prodotto un’insufficiente segnalazione dei casi di morbillo tra coloro che erano stati vaccinati due volte, distorcendo così le statistiche
ufficiali. Indicativo di come la protezione vaccinale tenda gradualmente a declinare
fu il fatto che il contributo dei bambini doppiamente vaccinati ai casi di morbillo aumentava con l’età. I bambini doppiamente vaccinati costituivano solo il 4,1% del gruppo dai 5 ai 9 anni, ma il 18% dei bambini dai 10 ai 14 anni e il 22% dei ragazzi tra i 15 e i 19 anni. Lo studio non ha valutato quanti individui precedentemente vaccinati hanno finito con il contrarre il virus manifestando soltanto alcuni sintomi della malattia e per questo non sono stati contati tra i casi effettivi di morbillo per gli scopi dello studio, ciononostante essi stavano comunque diffondendo il virus nella comunità.
GLI INDIVIDUI VACCINATI POSSONO TRASMETTERE IL VIRUS DEL MORBILLO
L’establishment medico dà per scontato che i bambini vaccinati, se vengono contagiati dal virus o se addirittura sviluppano la malattia conclamata (il cosiddetto “breakthrough”* che si verifica in soggetti vaccinati), non possono trasmettere la malattia agli altri.
Molti citano come prova di questa convinzione un articolo pubblicato nel prestigioso «Journal of American Medical Association» (JAMA) nel 1973 [12].
Infatti, il titolo di quest’articolo è “Incapacità dei bambini vaccinati di trasmettere il morbillo”. Tuttavia, un attento esame del progetto su cui si basa l’articolo dimostra che lo studio non ha affrontato correttamente la questione che avrebbe dovuto affrontare, cioè se i bambini vaccinati che hanno contratto il virus durante l’epidemia hanno o non hanno trasmesso il virus agli altri che erano ancora vulnerabili al virus.
I risultati dello studio del «Journal of American Medical Association » mostrano che durante un’epidemia di morbillo in una comunità dell’Iowa negli anni Settanta, in cui sono stati coinvolti sia bambini vaccinati sia non vaccinati, era improbabile che i bambini vaccinati
non malati trasmettessero il morbillo ai loro fratelli più giovani e in età pre-scolastica, molti dei quali potrebbero essere stati vaccinati di recente e per questo non sarebbero stati comunque vulnerabili al virus del morbillo durante quella particolare epidemia. Lo stato vaccinale di quei fratelli più giovani non fu determinato (o svelato) dallo studio.
Curiosamente, i dati dello studio mostrano che anche i bambini non vaccinati e non malati non sono in grado di trasmettere il morbillo (che ovviamente non hanno contratto durante quella particolare epidemia) ai loro fratelli più giovani e in età pre-scolastica il cui stato vaccinale non è stato svelato.
Questo rende chiaro come lo stato vaccinale non sia un fattore predittivo di trasmissione del virus.
Uno studio recente, basato sull’epidemia di morbillo del 2011 a New York, ha dimostrato chiaramente che un adulto vaccinato due volte può trasmettere il morbillo ad altri individui vaccinati due volte [13].
TIRANDO LE SOMME
Ricordiamoci che l’obiettivo pubblicizzato di stabilire l’immunità di gregge attraverso un alto grado di adeguamento al programma di vaccinazione è quello di estinguere rapidamente qualsiasi epidemia di malattie infantili innocue, di modo che la popolazione vulnerabile ma non idonea alla vaccinazione (per esempio i bambini o gli individui che assumono farmaci immunosoppressori) possa evitare di contrarre la malattia che risulta pericolosa solo alla loro età o a causa dello stato del loro sistema immunitario. Per evitare un’epidemia, una percentuale della popolazione che va dal 70 al 95% – secondo alcune stime teoriche molto generiche – dev’essere davvero immune, cioè resistente all’infezione virale, e non soltanto protetta dallo sviluppare l’intera gamma di sintomi che si adattano alla definizione clinicamente accettata della malattia.
Tuttavia, l’adeguamento totale al programma di vaccinazione può nella migliore delle ipotesi rendere solo un quarto della popolazione resistente all’infezione virale per più di dieci anni. Questo rende evidente che un’immunità di gregge stabile non può essere ottenuta nel
ungo termine attraverso la vaccinazione infantile, qualsiasi sia il grado di adeguamento al programma di vaccinazione.
LA RIVACCINAZIONE È LA SOLUZIONE NEI CONFRONTI DEL DECLINO DELLA PROTEZIONE VACCINALE CONTRO IL MORBILLO?
Variazioni tipiche nel pool genico* (per esempio il profilo immunogenico personale) influenzano il modo più o meno efficiente con cui il vaccino viene processato e presentato al sistema immunitario per la produzione di anticorpi. Questo potrebbe essere il motivo per cui solo una parte dei bambini sani risponde in maniera positiva alla vaccinazione (cioè genera e mantiene titoli anticorpali neutralizzanti il morbillo relativamente alti per molti anni), mentre altri bambini sani rispondono invece in maniera scarsa alla vaccinazione. La rivaccinazione di coloro il cui profilo immunogenico personale non favorisce un’elevata produzione di anticorpi in risposta al vaccino contro il morbillo potrebbe correggere il loro intrinsecamente basso livello di reattività alla vaccinazione?
La ricerca che testimonia la futilità di tale impresa si può ricavare dalle osservazioni riassunte dal dottor Gregory Poland [14]:
«Negli studi sul morbillo, gli anticorpi post-immunizzazione contro il morbillo collocati nel livello “basso-positivo” non proteggevano contro il morbillo clinicamente conclamato quando i soggetti erano esposti al virus spontaneo, mentre gli anticorpi collocati nel livello alto erano protettivi. Inoltre, gli individui “non-responder”* alla singola dose di vaccino contro il morbillo che hanno dimostrato una risposta anticorpale solo dopo una seconda immunizzazione, avevano una possibilità sei volte superiore di contrarre il morbillo dopo l’esposizione al virus spontaneo rispetto agli individui “responder” a una singola dose di vaccino.
Altri studi hanno esaminato gli individui che hanno reagito in maniera scarsa alla prima vaccinazione, i cosiddetti “poor responder”, i quali sono stati re-immunizzati e hanno sviluppato una risposta anticorpale scarsa o di basso livello per poi perdere ogni tipo di anticorpo rilevabile e contrarre il morbillo 2-5 anni più tardi in seguito ad esposizione».
La risposta è chiara: coloro che manifestano una scarsa risposta al vaccino del morbillo rimangono tali anche dopo le successive vaccinazioni e non possono venire in soccorso dell’immunità di gregge.
Avendo questi dati, perché l’establishment medico insiste nell’affermare che l’immunità di gregge basata sul vaccino è addirittura possibile, se solo si implementassero delle misure vaccinali più rigide o più frequenti?
Perché, in difesa di un’idea irraggiungibile, i pediatri tradizionali e le autorità sanitarie pubbliche continuano ad assillare quelle famiglie che scelgono di proteggere i loro bambini dai potenziali danni dei vaccini o di garantire la salute dei loro bambini attraverso delle strategie naturali e indipendenti dai vaccini?
L’AZZARDO CONTROPRODUCENTE DELLA SANITÀ PUBBLICA
La convinzione della medicina tradizionale secondo cui un bambino non vaccinato mette in pericolo la società dato che non contribuisce all’immunità di gregge è irragionevole, dal momento che vaccinare ogni singolo bambino secondo il programma richiesto non permette comunque di mantenere tale desiderata immunità.
È tempo di mettere da parte l’intolleranza nei confronti di coloro che cercano l’esenzione dalla vaccina-zione per i loro bambini.
Invece, dovremmo porre la nostra attenzione sui risultati che derivano dalle campagne di vaccinazione di massa.
La vaccinazione di massa dei bambini inizialmente raggiunge rapidi risultati nella riduzione delle malattie attraverso la tentata eradicazione del virus, soltanto perché si aggancia alla maggior parte degli adulti permanentemente immuni che hanno raggiunto la loro immunità naturalmente nel periodo pre-vaccinazione.
Tuttavia, il problema è che la percentuale di giovani adulti vaccinati ma non immuni sta crescendo, mentre la percentuale della popolazione immune più anziana sta diminuendo a causa dell’età.
Così, nel corso del tempo, la vaccinazione di massa ci fa perdere piuttosto che guadagnare l’immunità cumulativa nella popolazione adulta. In questa fase, la battaglia per controllare le epidemie importate diventerà una strada tutta in salita a prescindere dal livello di adeguamento al programma di vaccinazione, e già l’esperienza del morbillo in Québec del 2011 è stata un’avvisaglia delle epidemie senza controllo che verranno.
La vaccinazione di massa pone fine alle epidemie di malattie endemiche eliminando la diffusione del virus nella comunità invece di indurre l’immunità permanente negli individui vaccinati.
Tuttavia, nonostante l’incidenza delle malattie virali si sia ridotta in molti Paesi, queste non sono ancora state completamente eradicate da tutto il mondo.
L’eliminazione in una specifica regione dell’esposizione virale nel momento in cui il virus è presente globalmente non è quasi più una buona notizia.
La vaccinazione di massa infantile prolungata è una misura di controllo delle malattie che, col tempo, renderà l’intera popolazione adulta (ma soprattutto i bambini) sempre più indifesa contro il virus, che non è stato completamente eradicato e che può facilmente essere re-importato.
Perché le autorità sanitarie pubbliche hanno deciso di porre tutti i loro sforzi nell’azzardo controproducente dell’eradicazione non uniforme del virus?
Forse un po’ in ritardo, arriva il riconoscimento teorico del disastro nella salute pubblica a cui stiamo andando incontro [15]:
«Per malattie infettive dove l’immunizzazione può offrire una protezione che dura tutta la vita, una varietà di esempi possono essere utilizzati per spiegare l’utilità della vaccinazione come metodo di controllo.
Tuttavia, per molte malattie, l’immunità declina nel corso del tempo […]. Qui mostriamo come la vaccinazione può avere una serie di conseguenze inaspettate.
Prevediamo che, dopo un lungo periodo senza malattie, l’introduzione di un’infezione porterà a epidemie più ampie di quelle predette dai modelli standard. Questi risultati comportano delle chiare implicazioni per il successo nel lungo termine di qualsiasi campagna vaccinale e sottolineano il bisogno di una comprensione solida e affidabile dei meccanismi immunologici dell’immunità e della vaccinazione».
È tempo di svegliarsi e rendersi conto della realtà delle politiche di vaccinazione della nostra sanità pubblica e delle loro implicazioni a lungo termine.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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[14] Poland, G.A., Variability in immune response to pathogens: using measles vaccine to probe immunogenetic determinants of response, in «Am. J. Hum. Genet.», vol. 62, 1998, pp. 215-220.
[15] Heffernan, J.M., Keeling, M.J., Implication of vaccination and waning immunity,
in «Proc. R. Soc. B.», vol. 276, 2009, pp. 2071-2080.
La vaccinazione compromette il sistema immunitario naturale. Cosa possiamo fare per riconquistare la salute
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